Olena Styazhkina: Si tratta di deoccupazione, non di reintegrazione, perché non c’è stata alcuna disintegrazione

Olena Styazhkina è dottoressa di ricerca in storia, scienziata, scrittrice e giornalista. È nata, ha vissuto e lavorato a Donetsk, città che ha lasciato nel 2014. Continua a insegnare presso l’Università nazionale di Donetsk, trasferitasi dalla città occupata a Vinnytsia. Nel corso della discussione “Deoccupazione: come funziona?”, tenutasi presso l’Ukraine Crisis Media Center, Olena Styazhkina ha parlato dei meccanismi di deoccupazione, dell’esperienza europea in questo campo e della necessità di una legge sul collaborazionismo. L’UCMC pubblica il suo discorso con riduzioni minori.

“Essere un girasole nei campi del Donbas,” come scrive Serhiy Zhadan (scrittore e poeta ucraino – UCMC), “significa sapere come vivere e per che cosa si muore”. Se vogliamo germogliare come girasoli nella nostra terra nativa, e non come polvere sugli stivali russi, la deoccupazione è un processo che dev’essere svolto correttamente, esattamente, coscientemente e che deve avere luogo oggi.

Dove non ci sono i “Grad” russi non c’è né guerra né occupazione

La stiamo definendo deoccupazione coscientemente. Capiamo nell’assoluto che il processo della guerra, dell’aggressione russa, ha tanti componenti sul territorio ucraino: quello d’informazione, lo spaccamento di civilizzazione, la tensione antioligarchica, la protesta sociale che è stata canalizzata contro l’Ucraina. Ma tutta questa complessità non annulla la cosa principale, il fatto che si tratta di un’aggressione e di un’occupazione. Come dimostra la pratica nei territori liberati, dove non ci sono i “Grad” russi e l’esercito russo, non c’è guerra né occupazione. C’è tensione, sì, esistono problemi. Ma non c’è guerra né occupazione. Spesso i nostri partner internazionali, ai quali siamo molto grati, e spesso i nostri nemici interni, ai quali siamo altrettanto grati dato che senza il loro aiuto non ci saremmo avvicinati alla questione, usano i diversi soggetti e temi che sottolineano il separatismo che di conseguenza risultano nei tentativi di costruire i progetti di reintegrazione, deseparatizzazione – simile allo scenario irlandese. Nella realtà dei fatti, lo scenario irlandese non esiste e non esisteva. Ma appunto grazie alle forze buone o cattive, grazie alle forze di riscossa che costruiscono il suo concetto politico in base a questo, tra 20 anni potremo ottenere un’Irlanda. Dobbiamo invece tenere l’Ucraina unita. Con tensioni, sì. Diversa sì. Buona, gioiosa, interessante, europea, sì. Così come serve a noi. Non così come serve alle forze scontente e al Cremlino che con il cosiddetto separatismo ci sta costruendo un campo minato per i 20 anni a venire.

Per questo le parole sono importanti. Possiamo parlare di deoccupazione ma non di reintegrazione, perché non ci siamo mai disintegrati. Possiamo parlare di collaborazionisti ma non di separatisti, perché questa idea non esiste, dunque non esiste separatismo. Dobbiamo essere certi di lavorare non sul rinnovamento del Donbas, ma sulla ricoltivazione dell’Ucraina includendo le regioni di Donetsk e di Luhansk.

C’è bisogno di deoccupazione sul territorio intero dell’Ucraina

Che cos’è la deoccupazione e quanto durerà? La deoccupazione ha una geografia. Il primo strato, la prima dimensione, di deoccupazione è l’Ucraina. La decolonizzazione e la deoccupazione della coscienza hanno luogo prima di tutto nella “grande Ucraina” (l’Ucraina intera). La seconda dimensione di deoccupazione che osserviamo oggi sono i territori liberati e i territori vicini alla linea del fronte. Ciò che in questo momento accade laggiù, la gente che ci lavora, che ci chiamiamo volontari, in realtà tutte queste persone sono coloro che praticano la deoccupazione. Sono pratiche che possiamo registrare e ampliare dopo che il confine statale sarà sotto il controllo ucraino. Dobbiamo prepararci a un processo che durerà a lungo, non avverrà di certo nel giro di una giornata. Non dobbiamo temerlo. L’Europa ha esempi propri di processi di deoccupazione i quali si sono dimostrati lunghi.

Ucraina e l’esperienza europea di deoccupazione

Non fu certamente veloce l’esperienza della deoccupazione di Belgio, Paesi Bassi e Francia. Tutte queste esperienze oggi sono le nostre. Di sicuro commetteremo i nostri errori. Prendiamo, ad esempio, l’esperienza belga: una popolazione di otto milioni, un’occupazione durata quattro anni con la collaborazione della popolazione. Cos’ha fatto il Belgio: si contavano 400 mila procedimenti giudiziari aperti. C’erano solamente 80 mila sentenze di condanna, tra cui i casi di reclusione 48 mila. Così nella terra belga fu nata la comprensione che le leggi sulla purificazione non sono solamente le leggi perché la società si purifichi dai collaborazionisti, ma significano anche che la società deve purificare il nome onesto di coloro che restavano nell’occupazione ed erano i nostri eroi. L’esperienza dei Paesi Bassi è quella del restauro di fiducia nelle autorità. Più di 900 sindaci sono rimasti nei territori occupati e collaboravano. Tutti loro sono stati processati. Ogni caso è stato considerato separatamente. L’esperienza della Francia è completamente diversa. La Francia collaborava attivamente. Quando è giunto al potere, de Gaulle disse: “La Francia si è liberata da sola. La Francia ha bisogno di tutti i suoi figli”. Che questo significhi che questa esperienza sia la nostra? No. Ma dobbiamo pensare che cosa possiamo prendere come esempio da questa esperienza. Possiamo considerare anche l’esperienza croata, ma non nel senso di deseparatizzazione, quanto in quello dell’esperienza che sorge da due scenari completamente diversi con i quali si è restaurato il potere in questo paese – a Krajina e a Vukovar. Dobbiamo studiarli, ci sarà sicuramente qualcosa che funziona per noi.

Responsabilità per il collaborazionismo nel pacchetto con l’amnistia

Per il nostro movimento civile (“Deoccupazione. Ritorno. Formazione”) è stato molto importante capire che se non vi è (in questi territori) il sistema di formazione ucraino, se non rifaremo la formazione ucraina, non ha senso farli tornare e tornarsene. Quando abbiamo cominciato a disegnare i passi su come avremmo voluto e potuto tornare, fu chiaro che bisognava parlare non solamente con chi è partito ma anche con chi è rimasto. Le persone che sono rimaste lì non sono traditori. Tante persone, non vi potete neanche immaginare quante, stanno aspettando l’Ucraina. Ed è da lì, dai territori occupati, che è nata l’idea del diritto alla responsabilità. L’idea secondo cui vogliamo essere responsabili e non vogliamo essere insozzati per tutta la vita. È il diritto per il nome immacolato, onesto. È bene che ci sia amnistia, è quello che richiedono gli Accordi di Minsk, ma amnistia da cosa e per che cosa? Quindi insieme all’amnistia serve forse anche una legge sul collaborazionismo che tolga la responsabilità da coloro che non sono colpevoli, ma che stabilisca chiaramente la responsabilità non criminale, ma amministrativa e civile per coloro che vanno puniti. È un meccanismo difficile di lustrazione (purificazione), ma se adottiamo questo pacchetto di leggi, elimineremo questa macchia, questo marchio. La cosa importante è che elimineremo il campo minato del separatismo del Cremlino imposto all’Ucraina.

Parleremo di guerra, di vittime di guerra, di bambini di guerra, di riparazioni, di restituzioni, di rinnovamento dell’ordine legale e di colpevole. Questa è l’idea dei nostri professori nell’occupazione, che vedono il proprio futuro in Ucraina e che aspettano l’Ucraina.

Il video della discussione in ucraino è disponibile su questo link.

Foto: Hromadske Radio.