“Lo scopo del Cremlino era la Crimea, il Donbas – è solo lo strumento”- intervista con il volontario Vitaly Deynega

Vitalii Deineha, volunteer

 «Lo scopo del Cremlino era la Crimea, il Donbas – è solo lo strumento”- intervista con il volontario Vitaly Deynega

Vitaly Deynega, 33 anni, matematico, specialista IT, è uno dei volontari più famosi in Ucraina, essendo il fondatore di “Vernys zhyvym” (“Torna vivo”) –uno dei fondi di beneficienza più grandi che aiuta i militari ucraini. Nel corso di un intervista per “Liviy bereg” Vitaly ha raccontato come la guerra abbia cambiato la società, perchè rapporti paritari fra individui siano importanti e che cosa unisca politicamente  la nazione in Ucraina – UCMC pubblica una breve versione dell’intervista in lingua italiana.

Come la Guerra ha cambiato la società ucraina?

Penso che essa ci abbia fatto diventare un po’ più cinici ci abbia fatto aprire gli occhi. Abbiamo capito chi sono i russi per noi. Per russi intendo il Paese, non le persone. Parlo infatti della Russia come un sistema che ha rivelato la propria vera faccia. Le illusioni che ci eravamo fatti nei confronti della Russia le abbiamo ormai perdute.

Che cos’è il Movimento dei volontari? Perché ne sei stato coinvolto? 

Il mio progetto di vita originale era quello di guadagnare in modo da arrivare a possedere  miliardi di dolari, avendo l’età di  35-40 anni e cominciare così a svolgere dei progetti di beneficienza. Infatti ho avuto in passato un progetto piccolo di solidarietà prima della guerra, quando con dei miei amici abbiamo raccolto dei fondi ed abbiamo riparato il tetto di un orfanotrofio. Ritenevo che coloro che abitassero per strada fossero al di là della vita e quindi l’unico modo di ridurre il livello della criminalità  fosse quello di  togliere queste persone dalle strade. Ho perciò avuto l’idea di creare alcune “cittadine sociali”, luoghi dove è possibile riunire i senzatetto, lavarli, farli la barba e darli la possibilità di ricominciare una vita nuova.

Che cosa spinge le persone a donare dei soldi?

Parliamo sinceramente sul perchè sono diventato volontario. Ho avuto paura di andare a combattere. Sono uno specialista di IT di Kiev e la prima volta, vedendo dal vivo delle operazioni militari, mi sono sentito male. Ma capivo che ho talento speciale per guadagnare del denaro e la situazione era tale che intuì che tutti i miei soldi con,  tutto ciò che essi potevano comprare, serviamo di più ai militari. Ho preso 10 mila grivne ed è cominciato così. Dopo sono venuti gli amici. In seguito ho capito che non solo so guadagnare soldi, ma anche so fare organizzare raccolte fondi.

Credo che una simile motivazione ce l’abbia maggior parte della gente. Gli uomini capiscono che quando non eseguono il proprio dovere, occorre cercare di pulirsi la coscienza e credo che questo sia positivo. Però ritengo soprattutto che occorra essere onesti con sé stessi. É assolutamente nelle tue facoltà  andare o non andare a combattere. Francamente, se uno ha paura di combattere, non vi è alcun problema. Quanti millioni di uomini abbiamo? 10-20 milioni? Questa quantità di uomini non serve interamente durante la guerra. Ma occorre anche sia coloro che pagano le tasse per comprare gli armamenti sia coloro che sfamano i soldati.

Cosa risponde a chi sostiene che non sia cambiato niente negli utimi tre- quattro anni e che i problemi del 2017 rimangono gli stessi del 2012?

La mamma della mia ragazza, che non abita in Ucraina, quando è venuta qui, ha detto che le persone sono diventate più affettuose, hanno cominciato a suggerire consigli o aiutare e ci sono meno indifferenti. Tutti hanno cominciato a fare di più e ciascuno si è avvicinato agli altri.

Al fronte, quando nel rifugio antiaereo fa freddo e c’è buio, è normale avvicinarsi a una persona che ti è accanto, anche se non la conosci, perché le persone hanno cominciato ad aver fiducia gli uni negli altri. La gente è completamente delusa dal potere,  però crede ancora nel popolo. Questi rapporti si creano oggi perché la guerra ci ha insegnato a comunicare.  La guerra ci ha messi uno in fronte all’altro ed abbiamo cominciato a costruire molti rapporti sociali paritari. Questo è quello che si percepisce e sono convinto che abbiamo di fronte un grande futuro.

A proposito, quando il Cremlino ha invaso la Crimea e il Donbass, a Mosca pensavano che gli ucraini russofoni avrebbero sostenuto questa scissione. Però è stato dimostrato che si può essere filoucraini pur parlando russo. Che cosa, secondo te, fa diventare una persona parte integrante della nazione politica ucraina? Quali idee rendono una persona filoucraina?  

In primis è il tipo di mappa dell’Ucraina che uno ha nella propria testa, ossia con la Crimea e il Donbass oppure senza. Se una persona non crede che la Crimea e il Donbass siano ucraini, è inutile intavolare un discorso. In secondo luogo è che tipo di sforzi questa persona è pronta a svolgere per ripristinare questi confini sulla mappa. Questi sono gli unici due fattori per me che rendono una persona filoucraina. Il resto non centra.

Credo anche che non dobbiamo dividerci e che dobbiamo preservare anche il principio nazionale. Nell’aeroporto di Donetsk è caduto Zhenia Yatzyna che, se non sbaglio, faceva servizio nel battaglione 90. Il ragazzo è venuto qui da Israele. Quando era nell’aeroporto di Donetsk, si chiedeva: mio padre si trova a Haifa, e mia madre a Tel- Aviv. Che faccio dunque qui? Ecco,  Zhenia ha perso la vita laggiù.

Fra i militari ucraini ci sono i gay e ci sono i russi etnici. Conosco una persona che ha combattuto per la Russia in Georgia e ora è qui combatte per noi, avendo la pensione militare russa e la tessera militare. Lui per me è 100 volte più ucraina che una persona con la vyshyvanka (NDR il costume tradizionale ucraino) che durante la guerra passa tutto il giorno a leggere le poesie del Kobzar di Taras Shevchenko. Oggi stiamo affrontando il problema dell’integrità territoriale. Ma vi saranno presto altri problemi.

Parliamo del ripristino dell’integrità territoriale. Oggi in Ucraina si dice che nei territori occupati abita  gente con un’altra mentalità e non c’è alcun senso di riportarli sotto l’Ucraina. Che cosa puo’ rispondere?

Ho visto dei dati riservati di una ricerca sociologica sul Donbass. Il 17% di persone che abitano lì sono filoeuropei, sono per l’Ucraina, per l’integrità territoriale, sono esattamente parte del nostro popolo. Però non possono andarsene. Che possiamo fare con queste persone? Lasciarle al loro destino?  Credo che noi, a livello politico come nazione, dobbiamo rivendicare l’appartenenza di queste persone all’Ucraina.  Quante persone di Donetsk fanno servizio nelle Forze Armate ucraine?

Loro non possono dichiararlo ma  quando vanno in ferie, tolgono i distintivi e la divisa e tornano dal proprio padre e dalla propria madre laggiù, oltre la linea di contatto. E dopo se ne tornano di qua ma di ciò non se ne parla.

Così come i gay, che fanno servizio nel esercito, e che non parlano di sé stessi, perchè da noi sono una categoria stigmatizzata e non trovano la comprensione dei commilitoni. Ma loro esistono. E il fatto che, per diversi motivi, non possono dirlo a voce alta non significa che dobbiamo cancellarli.

In secondo luogo, ci sono un buon 25-27%  di persone nel Donbas che vivono come nel film  «Matrix». E’ come se avessero preso un farmaco sbagliato e percepiscano la realtà in maniera distorta. Semplicemente abitano lì, credono nelle “autorità” separatiste e in una netta distinzione fra buoni e cattivi. Ma penso che possano aprire gli occhi e vedere cose diverse.

Inotre ci sono “secessionisti”convinti e сon loro sarà difficile. Ma in mezzo fra il 17%  e il 27 % ci sono ancora un 60% di persone per le quali tutto ciò è indifferente ma ci sono persone così anche a Kyiv. Dovremmo forse rifiutare e dimenticarci di costoro che abitano a Kyiv? Certo che no.

Non abbiamo una singola regione in cui più della metà della popolazione aiuta concretamente la missione militare dell’ATO (Anti-terroristic operation) nel Donbas, recandosi lì e fornendo un supporto concreto senza accontentarsi di spedire 100 hryvnias al mese (circa 3 euro). E la stessa cosa esiste a Donetsk, in cui la gente è semplicemente indifferente. Non servono altre parole che queste per dire che quello è realmente il nostro territorio.

Ho avuto un colloquio interessante con  Dima Kuleba, il nostro Ambasciatore presso il Consiglio d’Europa. Lui mi ha detto una cosa molto giusta: la Crimea era il vero obiettivo, una volta occupata l’obiettivo è stato raggiunto. Il Donbass è invece uno strumento, non è un obiettivo per la Russia.  Se noi ci separiamo dai territori, oltre la linea di contatto, la guerra non verrà fermata, perchè a Mosca serve un fattore destabilizzante all’interno dell’Ucraina.

Che cosa, secondo te, deve imparare la società ucraina?

La cosa più importante è che bisogna imparare a rispettare il punto di vista con il quale non siamo d’accordo. A patto però che questo punto di vista non oltrepassi il limite oltre il quale diventa illegale. Per esempio, quando qualcuno sostiene che l’annessione della Crimea sia stato un atto legittimo. Quando vedo gli abitanti di Avdeevka (NDR cittadina ucraina perennemente sotto minaccia di bombardamenti da parte dei separatisti) che dicono: “vogliamo la pace”, “siamo stufi della guerra”, “le nostre case sono in fiamme”, “a noi non importa chi ci governa, ma vogliamo solo che la guerra si fermi”. Ecco queste opinioni sono legittime. Dobbiamo imparare ad ascoltare le altre persone e a istituire dei rapporti paritari fra le persone in modo da capire che possa esistere anche un punto di vista differente. Bisogna accettare tutto questo.

Che qualità ci mancano?

In Ucraina non esiste una “Società” con la S maiuscola. Esiste un’enorme massa grigia ma vi è una parte di persone  piene di buone iniziative che sta crescendo piano-piano. Penso che i rapporti paritari e l’abitudine di fare qualcosa  siano importanti di per sé, senza avere l’ambizione di poter salvare il proprio paese. L’importante è cominciare da casa propria. Mi sembra che questo pensiero sia qualcosa di normale e sano per il paese. L’Ucraina sarà salvata perciò soltanto quando un partito sano, corretto e cresciuto dal basso governerà.

Perciò io vedo nella mia organizzazione un ruolo educativo enorme. Forse, in prospettiva è anche più importante di quello che abbiamo fatto per le Forze Armate. È la coltivazione dei valori giusti della popolazione. Perché quando finirà la guerra sappiamo già chi andremo ad aiutare. Nel nostro paese ci sono già oggi orfanotrofi o anziani che in futuro avranno bisogno del nostro aiuto.

E’ così che costruiremo il Paese. Forse questa è la nostra strada, perché in fondo non tutti i paesi sono destinati a diventare capitali finanziare come Singapore. Forse il nostro destino è diverso.