Perché il militare ucraino è accusato dell’omicidio del fotogiornalista Rocchelli

Il militare ucraino Vitaliy Markiv è stato arrestato il 30 giugno scorso, mentre entrava in Italia. L’accusa è quella di essere il presunto responabile dell’omicidio del fotogiornalista italiano Andrea Rocchelli. Rocchelli è morto nella zona dei combattimenti nel Donbas, vicino a Slovyansk, nel maggio 2014. [Informazioni più dettagliate dell’UCMC sull’arresto di Markiv sono accessibili a questo link]. La Procura di Pavia, la città dove risiedono i genitori di Rocchelli, chiede che Markiv rimanga in stato di fermo per la durata dell’intero processo penale. Il 4 luglio ha avuto luogo l’udienza di convalida, però il caso non è stato valutato nel merito perchè Markiv si è avvalso della facoltà di non rispondere. Secondo alcuni media ucraini, il comportamento di Markiv è dovuto al cambiamento di avvocato, da quello assegnato d’ufficio ad un incaricato, il quale ha bisogno di tempo per esaminare i materiali del caso. Al momento la data della nuova seduta del tribunale non è stata annunciata.

TSN è l’unico team dei giornalisti ucraini sul posto in Italia che sta coprendo il caso Markiv. I reporter sono riusciti a impossessarsi dell’ordinanza di custodia cautelare, che contiene le accuse che la Procura ha presentato nei confronti di Markiv e che ha portato al fermo del soldato ucraino.

L’ordinanza è stata tradotta e pubblicata in ucraino dai giornalisti. Ecco i suoi punti principali. [L’UCMC pubblica il testo italiano dell’ordinanza tradotto dall’ucraino. Si tratta dell’unica opzione disponibile al momento].

Di cos’è incriminato Markiv
I materiali del caso riportano che Markiv “avendo come propria posizione il colle Karachun ed essendo guidato da intenzione criminale, ha causato la morte del cittadino italiano Andrea Rocchelli. Egli ha inizialmente aperto il fuoco con numerosi spari contro il giornalista e contro coloro che svolgevano con lui il fotoreportage sul posto. In seguito, dopo che Rocchelli si era nascosto in una piccola fossa cercando di salvarsi la vita, Markiv ha nuovamente sparato 20 colpi di mortaio contro il rifugio dello stesso Rocchelli. I colpi sono stati  direzionati in modo più preciso possibile in modo da colpire Andrea Rocchelli. Oltre a Rocchelli, in seguito è stato ucciso il suo collega russo Andrey Mironov ed è stato ferito gravemente il giornalista francese William Roguelon.  Nell’azione sono rimaste ferite altre due persone di nazionalità ucraina, che però non è possibile identificare”.

Il documento sottolinea anche che nel caso “si palesano le circostanze aggravanti se si prende in considerazione l’estrema crudeltà del gesto, il tipo delle armi in uso per colpire una persona inerme, che aveva anche cercato riparo provando a nascondersi nella fossa, il numero di spari e il calibro delle armi impiegato”.

Chi testimonia contro l’ucraino
Un primo testimone è il fotografo francese William Roguelon che ha visto con i propri occhi l’attacco ed è stato ferito nella stessa situazione in cui è morto il giornalista italiano. Egli era presente sul posto in quanto aveva accompagnato sia Andrea Rocchelli sia Andrey Mironov, il dissidente russo che aiutava il fotogiornalista italiano.

Nei materiali del caso comparirebbero come testimoni anche tre figure di giornalisti italiani. Si tratta di Ilaria Morani, Marcello Fauci e Francesca Volpi. Costoro affermano di aver parlato con Markiv diverse volte nel corso delle loro attività professionali, in quanto egli era uno dei pochi militari ucraini che parlava italiano.

Su quali testimonianze sono basate le accuse
Tra tutti i testimoni, solo Roguelon si trovava al posto dove è morto Rocchelli. Secondo il giornalista francese, l’attacco sarebbe avvenuto tra Slovyansk e Kramatorsk, quando i tre stavano per fotografare un treno distrutto dai militanti appoggiati dalla Russia. Il fotografo francese ha anche assicurato di aver sentito gli spari arrivare dal lato in cui erano posizionate le truppe ucraine.

L’ordinanza di custodia cautelare fa riferimento anche alle testimonianze dei giornalisti italiani Ilaria Morani e Marcello Fauci. In particolare, il documento cita l’articolo di Ilaria Morani pubblicato sul Corriere della Sera del 25 maggio 2014 (il prossimo giorno dopo l’incidente):


“Abbiamo raggiunto al telefono un capitano dell’esercito che in quel momento era sulla torre a coordinare la difesa della città. «Qui non si scherza, non bisogna avvicinarsi: questo è un luogo strategico per noi, ha raccontato il militare”.

«Normalmente noi non spariamo in direzione della città e sui civili, ma appena vediamo un movimento carichiamo l’artiglieria pesante. Così è successo con l’auto dei due giornalisti e dell’interprete. Noi da qui spariamo nell’arco di un chilometro e mezzo. Qui non c’è un fronte preciso, non è una guerra come la Libia. Ci sono azioni sparse per tutta la città, attendiamo solo il via libera per l’attacco finale».


TSN fa notare che non ci sono registrazioni delle conversazioni fra i corrispondenti italiani e l’ucraino. L’accusa si basa soltanto sui racconti dei giornalisti.

La difesa di Markiv
Hromadske TV ha contattato telefonicamente Raffaele Della Valle, il nuovo avvocato di Markiv, il 5 luglio scorso. L’avvocato ha confermato che le accuse contro Markiv si basano sulla testimonianza di due giornalisti italiani. [In base alle informazioni precedenti probabilmente si tratterebbe appunto di Ilaria Morani e Marcello Fauci – UCMC]. L’UCMC riporta la citazione dell’avvocato tradotta dall’ucraino. “È davvero troppo poco. Gli avvenimenti hanno avuto luogo in circostanze di guerra e la situazione era abbastanza complicata. Non è semplice identificare il colpevole perchè non è semplicemente una persona che ha sparato e ucciso un’altra. Bisogna sentire le testimonianze della parte ucraina e capire quali fossero le posizioni delle truppe ucraine. Occorre quindi stabilire chi sparò e da dove e svolgere un’investigazione meticolosa. Abbiamo intenzione di contattare presto le autorità ucraine”. Secondo l’avvocato, la difesa di Markiv ha intenzione di collaborare, in particolare con il Ministero della difesa ucraino.

Le discrepanze nel documento
Lungo tutta l’incriminazione, il Procuratore sottolinea che Markiv non era un militare ucraino regolare. Tali infromazioni non sono veritiere. Hromadske TV ha contattato un militare del battaglione del Generale Kulchytsky della Guardia nazionale ucraina (una sorta di Arma dei Carabinieri in cui presta servizio Vitaliy Markiv). Il militare ha chiesto di non rivelare il proprio nome ma ha raccontato che a quel tempo Markiv era un regolare soldato semplice nel battaglione. È poi diventato vice capo del plotone, ma diversi mesi dopo. Il battaglione del Generale Kulchytsky a quel tempo non era irregolare ma subordinato alla Guardia nazionale ucraina: “Facevamo parte della Guardia nazionale, è stato l’unico battaglione creato in quel periodo che fosse subordinato alla Guardia nazionale. Eravamo reservisti e avevamo le carte militari in regola come l’identificazione personale rilasciata il 14 marzo 2014. Si trattava quindi di una missione ufficiale nella zona ATO (la zona delle operazioni militari nel Donbas),” racconta il militare.

Il Procuratore ha affermato che i giornalisti sono stati colpiti prima con armi leggere e poi con i mortai. Ma la portata del fucile Kalashkinov, in possesso alle truppe ucraine, è di soli 625 metri mentre la distanza da dove è morto Rocchelli alla collina Karachun, dove appunto si trovava l’esercito ucraino, è di oltre 1,5 kilometri.

Inoltre, secondo i militari, i volontari per i rifornimenti dell’esercito ucraino e i corrispondenti di guerra, il battaglione di Markiv non era dotato di mortai nel 2014. Le armi più pesanti che i militari avevano a quel tempo erano i lanciagranate anticarro, la cui portata massima non è comunque compatibile con la distanza sopracitata.

Per quanto riguarda i testimoni, i giornalisti italiani avrebbero affermato che Markiv era, a quel tempo, il comandante dell’unità e poteva dare ordine di aprire il fuoco. Secondo però Myroslav Gai, un militare collega di Markiv, il 24 maggio 2014 sul colle Karachun erano stati dislocati circa 30 militari del battaglione della Guardia nazionale. Sulla collina, non vi era nessun “commandante” e ogni tipo di azione prevedeva la collaborazione di cinque-sei persone. Perciò nessuno era autorizzato a dare l’ordine di sparare e nessuno, appunto, lo avrebbe dato.