Un’opportunità mancata: l’Ucraina e la Rivoluzione di febbraio

In occasione del centesimo anniversario della fondazione della Rada Centrale, proponiamo questo articolo che ricostruisce la storia di quei giorni.

Contrariamente a quanto molto spesso riportato dalla storiografia italiana, la Rivoluzione di febbraio nell’Impero russo non provocò solamente l’abdicazione dello zar e l’ascesa di un nuovo governo democratico. Ma anzi, essa comportò anche cambiamenti epocali per la vita politica e sociale dell’Ucraina. Dopo un lunghissimo periodo di non riconoscimento e repressione infatti, il Movimento di liberazione ucraino emerse prepotentemente sulla scena politica, tanto che il governo centrale dovette riconoscere che il “problema ucraino” in Russia fosse reale.

Gli Sconvolgimenti della Rivoluzione

Il 24 Febbraio 1917, una serie di scioperi e proteste di piazza paralizzò Pietrogrado (la moderna San Pietroburgo), allora capitale dell’Impero Russo. Ben presto, lo spirito della rivolta contagiò anche le guarnigioni e le truppe imperiali. Tra di esse, vi era anche il Regimento della Volyn (Volinia), composto in gran parte da soldati ucraini.

Dopo alcuni giorni di disordini, Il 2 Marzo, lo zar Nicola II decise di abdicare a nome proprio e del figlio Alessio, lasciando così la corona a suo fratello Michele, il quale però la rifiutò. Il potere passo quindi nelle mani del Governo provvisorio, formato in gran parte da membri della Duma e guidato dal principe Georgij L’vov. Nel frattempo, il Soviet dei lavoratori e dei deputati di Pietrogrado divenne un polo di potere alternativo a quello di L’vov. I primi telegrammi sugli sviluppi della Rivoluzione a Pietrogrado raggiunsero Kyiv, allora terza città più grande dell’Impero. Il 28 febbraio la situazione politica era ancora molto incerta. Nessuno comunque si aspettava che la dinastia dei Romanov, che aveva governato l’Impero russo per oltre tre secoli, avrebbe in pochi giorni perso il proprio potere.

Il 4 Marzo 1917 (il 17 marzo dell’attuale calendario), le organizzazioni civili di Kyiv si unirono in un comitato centrale denominato Rada Centrale (consiglio) che aveva come obiettivo quello di salvaguardare gli interessi ucraini presso il nuovo governo provvisorio. Durante i primi giorni, vennero quindi telegrafate delle congratulazioni ufficiali al principe L’vov, che si era già insediato come capo del governo provvisorio, e a Aleksandr Kerensky, il nuovo ministro della giustizia. I telegrammi non esprimevano però solo il supporto al nuovo governo democratico, ma auspicavano che i bisogni nazionali ucraini trovassero finalmente, nel nuovo stato russo, un interlocutore affidabile. Del resto, sotto gli zar qualsiasi istanza di autonomia ucraina, fosse essa politica o culturale, era stata sempre repressa.

Dopo l’abdicazione invece, numerosi appelli volti a suscitare un risveglio della cultura nazionale vennero inviati dalla Rada Centrale a tutte le organizzazioni locali e regionali dell’Ucraina. Tali appelli chiedevano l’apertura di scuole e licei ucraini, l’introduzione dell’ucraino come lingua ufficiale di insegnamento e della pubblica amministrazione, nonché un nuovo sistema per la riscossione delle tasse.

Il 14 e il 15 marzo, l’aula magna del Museo Pedagogico di Kyiv ospitò il Congresso cooperativo ucraino che divenne in seguito una e vera e propria forza politica. Le idee e le azioni del Congresso erano ampiamente supportate degli Ucraini residenti in Russia. Nei primissimi giorni della rivoluzione, un altro Consiglio nazionale ucraino venne formato e guidato a Pietrogrado da Oleksandr Lototsky, un diplomatico e funzionario statale residente nella ormai ex capitale imperiale. Sin da subito appariva quindi evidente che i reali obiettivi della rivoluzione ucraina non fossero limitati soltanto a questioni puramente culturali. Al contrario, al centro delle intenzioni degli ucraini vi era l’intenzione di cambiare profondamente il sistema di governo, garantendo così la possibilità di una reale autonomia all’Ucraina. La Rada Centrale, però, vista l’incertezza politica che regnava in quei giorni, non sembrava voler affrettare i tempi.

Foto: istpravda.com.ua. Il palazzo della Rada Centrale nel 1917-1918 circa.

Il risveglio culturale e sociale

La situazione di stallo creò però condizioni favorevoli per un revival dell’orgoglio nazionale dell’Ucraina. Nella primavera del 1917, si intensificarono le attività dei centri culturali di Prosvita, i quali stavano sviluppando dei nuovi programmi culturali e scolastici per la popolazione ucraina. Solamente nel marzo 1917 oltre un centinaio di centri di Prosvita si diffusero sul territorio ucraino. Serhii Yefremov, uno dei più importanti giornalisti e storici ucraini del periodo, scrisse che: “non solo le grandi città con le loro ingenti risorse e importanti mezzi culturali, non solo le piccole città, dove pur vivono persone di una certa cultura, ma anche i più remoti villaggi ucraini fremono per lasciarsi alle spalle e recuperare i tempi morti, quando ciascuno era costretto al silenzio che prospera in ciascuna lingua.” [Tra l’altro, la frase contiene un’allusione al poeta nazionale ucraino Taras Shevchenko, che nel suo poema ‘Il Caucaso’ scriveva: “Dalla Moldova alla Finlandia, in ciascuna lingua regna il silenzio prosperando].

La Società degli ucraini progressisti (Tovarystvo ukrainskykh postupovtsiv – TUP), che aveva concretamente contribuito all’istituzione della Rada Centrale, fu una delle più attive organizzazioni extra partitiche di quella primavera del 1917. Altra organizzazione che raggiunse velocemente concreti risultati fu la Società per l’educazione scolastica, che chiese e ottenne l’istituzione di numerose scuole in ucraino. Del resto, già il 18 marzo venne aperto il primo ginnasio di lingua ucraina, guidato da Petro Kholodny.

Del resto, che l’istruzione in ucraino fosse un punto molto importante dei movimenti di protesta lo si era già Il 3 marzo, quando le organizzazioni universitarie di vari istituti di Kyiv crearono il Consiglio principale degli studenti ucraini. Il Consiglio lanciò nelle settimane successive una massiccia campagna per la derussificazione di numerosi aspetti della vita sociale ucraina, tanto che Il rapido risveglio culturale coinvolse ben presto anche l’esercito e le sue istituzioni.

L’espansione del movimento rivoluzionario

La fine della monarchia e l’istituzione di un nuovo governo causarono una serie di manifestazioni in diverse città ucraine. Nei primi giorni di marzo, a Kyiv, Kharkiv, Mykolaiv, Odesa e Poltava si organizzarono decine di incontri pubblici. Generalmente i dimostranti dimostravano un ampio supporto al Governo provvisorio e spesso la polizia imperiale veniva disarmata e i prigionieri politici liberati.

L’atmosfera di quei giorni si espanse anche tra gli ucraini residenti in Russia, tanto che Il 12 marzo 1917, oltre 25mila manifestanti sfilarono compatti per le strade Pietrogrado sventolando migliaia di bandiere dell’Ucraina. La sfilata si aprì con un solenne requiem in onore di Shevchenko di fronte alla cattedrale di Kazan e si concluse con un assembramento di fronte alla Duma al grido “Lunga vita all’Ucraina!” e “Viva la repubblica federale!”.

Il 16 Marzo, toccò invece a Kyiv celebrare il proprio giorno della rivoluzione. Decine di migliaia di persone scesero in piazza per celebrare la caduta della monarchia, auspicando la creazione di una vera democrazia nell’area dell’ormai ex impero russo. Tra l’altro, proprio in questa occasione, i manifestanti ucraini distrussero il monumento di Piotr Stolypin, primo ministro zarista ucciso nel 1911, che ormai agli occhi della folla appariva come un simbolo del vecchio e odiato regime ormai morente. I presenti riportarono che Stolypin, incatenato e rimosso dal piedistallo dai manifestanti, apparisse come un condannato impiccato sul patibolo. In seguito a questi eventi, anche i leader della Rada Centrale decisero di abbandonare il loro atteggiamento attendista e di tenere una manifestazione di “protesta pro Ucraina”. La struttura dell’evento venne decisa da un comitato speciale, guidato dallo storico dell’arte Dmytro Antonovych.

Il mattino del 19 marzo, nella piazza in fronte alla Cattedrale di San Volodymyr di Kyiv, ebbe luogo una gigantesca manifestazione. Si calcola che furono oltre 100mila persone a prenderne parte, fra cui almeno 30mila soldati, nonché studenti, membri delle associazioni ucraine e lavoratori. Dopo aver reso omaggio a Taras Shevchenko, il corteo imboccò le strade centrali della capitale ucraina e raggiunse l’esterno del palazzo del Consiglio municipale di Kyiv. I giornali dell’epoca riportano che più di 300 bandiere gialloblu dell’Ucraina erano state portate in processione, oltre a centinaia di ritratti di Shevchenko e dell’arcangelo Michele. Gli slogan più intonati erano simili a quelli già sentiti a Pietrogrado pochi giorni prima: “Lunga vita all’Ucraina libera!”, “Lunga vita alla repubblica federale!”, “Lunga vita ai cosacchi liberi d’Ucraina!”, “L’Ucraina non è ancora morta!”, “Gloria all’Ucraina!”, “Lunga vita all’autonomia nazionale e territoriale dell’Ucraina!”, “Ucraina indipendente e Russia libera!”, “Ucraina indipendente con a capo un etmanato!”. Il tutto venne accompagnato da quattordici bande militari e sette cori dislocati in vari punti, che seguivano i cortei intonando canzoni e inni patriotici.

Gli ufficiali della municipalità di Kyiv osservarono tutto ciò dai balconi dal palazzo del Consiglio. Tra di essi, vi erano i membri dei comitati delle organizzazioni civiche, i leader dei distretti militari e dei concili municipali. Anche il professor Mykhailo Hrushevsky, presidente della Rada Centrale, riuscì a prendere la parola. Dopo aver descritto l’importanza del nuovo movimento nazionale per fermare la repressione politica dell’Ucraina, Hrushevsky chiese ai manifestanti di giurare solennemente di combattere per l’autonomia dell’Ucraina all’interno della Russia. Inutile dire che la stragrande maggioranza prese al giuramento collettivo.

Più tardi, i manifestanti marciarono verso il monumento a Bohdan Khmelnytsky nella piazza di Santa Sofia, nella quale venne celebrata una cerimonia in onore dei martiri caduti per la causa ucraina. In questa occasione, venne indetta un’assemblea pubblica popolare che approvò la risoluzione della Rada Centrale riguardante una maggiore autonomia delle istituzioni ucraine, nonché un reale sostegno alla lingua nazionale.

La protesta del 19 marzo dimostrò senza ombra di dubbio l’alto livello di consapevolezza dell’Ucraina e degli ucraini rispetto al problema dell’autonomia. In tal modo, il Governo provvisorio capì per la prima volta l’importanza e la consistenza delle aspirazioni ucraine. Citando lo stesso professor Hrushevsky “Il movimento ucraino non è una mera fantasia nelle menti dei circoli romantici o di qualche pazzo intellettuale. Ma è una forza vivente, che inspira e smuove le masse.”

Foto: lib.rada.gov.ua. La manifestazione nella piazza di Santa Sofia a sostegno della Rada Centrale nell’aprile 1917.

Tuttavia, furono gli stessi leader della Rada Centrale a non essere in grado di sfruttare il pieno potenziale di questa “forza vivente”. A causa del proprio immobilismo, le politiche controproducenti della Rada Centrale nei mesi successivi di fatto bloccarono l’emergere di una vera autonomia politica dell’Ucraina. A sfruttare la situazione, ci pensarono quindi i Bolscevichi che, alcuni mesi dopo, non solo riuscirono a spodestare il Governo provvisorio, ma riuscirono anche a raggiungere il potere in Ucraina.

La Minaccia Ucraina

Per diverso tempo anche le autorità russe si rifiutarono di considerare la “questione ucraina” nel nuovo assetto democratico dello stato. Al contrario, molti dei membri sia del Governo provvisorio che dei Bolscevichi credevano che il revival culturale ucraino fosse solamente frutto di qualche intellettuale interessato a danneggiare l’interesse della Russia. Benché le richieste dei movimenti ucraini si basassero su istanze concrete e ampiamente condivise dalla popolazione, un’Ucraina troppo autonoma rappresentava una minaccia troppo grande.

Per opporsi a questo nuovo corso, un’associazione di ucraini “meridionali” venne perciò fondata a Kiev per difendere i diritti dei Russi d’Ucraina e per combattere movimenti con “limitate visioni della questione nazionale”. Secondo Yefremov, gli ucraini del sud non erano altro che “compatrioti che si identificano come ‘piccoli russi’ o ‘ucraini russofoni’ e che denunciano la letteratura ucraina per essere di bassa caratura o rozza e popolana.”

Venero inoltre diffuse alcune voci infondate, sia nelle città che nei villaggi, che il nuovo “dominio dei nazionalisti ucraini” prevedesse una vera e propria pulizia etnica per coloro che appartenessero a una qualche minoranza. Ovviamente, queste rivendicazioni, benché prive di fondamento, miravano a screditare i gruppi rivoluzionari ucraini di fronte non solo alla popolazione o alle minoranze, ma anche alla comunità internazionale. E poco importa se tutti i partiti presenti in Ucraina nei propri programmi prevedevano forme di tutela per le minoranze. La disinformazione si radicò un po’ ovunque, delegittimando nei fatti i movimenti autonomisti. Tutto ciò era quindi parte di una precisa strategia per guadagnar tempo e aspettare che il governo centrale ottenesse il potere sufficiente per ristabilire e placare il vecchio nuovo ordine, cosa che di fatto avvenne dopo la Rivoluzione di ottobre.

La foto principale: uateka.com. Mykhailo Hrushevsky, presidente della Rada Centrale.

Larticolo originale di Yaroslav Faizulin è consultabile alla pagina di Ukrainsky Tyzhden.

Traduzione in italiano di Andrea Castagna per lUkraine Crisis Media Center.