Il muftì Said Ismagilov è l’imam di Donetsk e della regione omonima. Vive a Kyiv dal settembre 2014. Come è cambiata la vita della comunità musulmana in Ucraina dopo l’annessione della Crimea e l’inizio della guerra nell’est del Paese? Come convive la comunità con la maggioranza cristiana? L’UCMC pubblica la versione tradotta abbreviata dell’intervista che Said Ismagilov ha rilasciato al giornalista ucraino Pavlo Kazarin nel programma d’autore “Dyctofon” (registratore vocale). La versione testuale è offerta dal media online “Livy Bereh”. [La prima parte].
Lo sceicco Said Ismagilov è un muftì dei musulmani sunniti ucraini. Nato a Donetsk nel 1978 in una famiglia di minatori di etnia tatara, si è diplomato a Donetsk per poi continuare gli studi presso l’Università islamica di Mosca dove ha ottenuto il titolo di imam. Rientrato a Donetsk, ha insegnato presso l’Università islamica ucraina. Dal 2001 è l’imam dei musulmani di Donetsk e della regione omonima. Nel 2009 è stato eletto muftì dell’Amministrazione religiosa dei musulmani d’Ucraina “Ummah”. È rimasto a Donetsk fino al settembre 2014 quando, a causa delle persecuzioni da parte dei militanti, è dovuto spostarsi a Kyiv. Attualmente è a capo dell’Amministrazione religiosa dei musulmani d’Ucraina “Ummah” e del Centro culturale islamico di Kyiv.
Livy Bereh: Ha una sequenza emozionale legata alla Crimea?
Said Ismagilov: Sì, ed è oltretutto legata all’inizio della mia esperienza religiosa. A quel tempo abitavo a Donetsk, avevo 15 o 16 anni. Sulla penisola era stato organizzato un campo estivo per adolescenti musulmani. Per la prima volta in vita mia assistetti a una preghiera del venerdì: fu presso la Moschea di Khan a Bakhchisaray, questo complesso storico, semibuio, con alte arcate e il soffitto e le pareti in legno. L’imam teneva una predica in lingua tatara crimeana. È un’impressione indelebile.
LB: Si parla spesso della mappa mentale dell’Ucraina che abbraccia ogni regione: Poltava come patria della lingua ucraina letteraria, Lviv come il punto di assemblaggio del progetto politico ucraino. Comunque c’è un’opinione secondo cui su questa mappa mentale dell’Ucraina la Crimea non c’era o che sia stata introdotta solamente a linee tratteggiate. Se stesse a Lei introdurcela, attraverso cosa lo farebbe?
SI: La introdurrei attraverso i Cosacchi e i Chumak (i commercianti) che andarono in Crimea a comprare il sale. Se ne parla chiaramente nella cultura, nella poesia e nella storia ucraina. È anche notevole lo spirito stesso dei Cosacchi, poiché questa cultura è quasi nomade, mentre gli ucraini sono stanziali. È la tradizione del Sich (l’insediamento fortificato dei Cosacchi – ndt.), quando si va in viaggio – tutto questo è stato preso dai popoli turchi. Infatti, il modo in cui la Crimea fu introdotta nella mappa mentale dell’Ucraina era inconsistente, dato che [la penisola] era di tatari crimeani. Si deve introdurre la Crimea nella mentalità ucraina attraverso tre tratti – ovvero i Cosacchi, i Chumak e i tatari crimeani. Una nazione sana non respinge alcuna parte di sé, ma ne accetta l’insieme: abbiamo degli ebrei – d’accordo, fanno parte della nostra storia e cultura. Abbiamo i tatari crimeani – va bene. Per questo motivo credo che si debba percepire la cultura tatara crimeana già come parte della storia contemporanea dell’Ucraina.
LB: Sentiamo spesso discutere dell’opinione secondo cui l’Ucraina ha cominciato a negoziare la sua sorte dopo il 2014. Secondo Lei, come si è trasformato il contratto sociale tra l’Ucraina – stato tradizionalmente cristiano – e i musulmani ucraini?
SI: Il 2014 è diventato l’anno dell’inizio dell’integrazione reciproca fra cristiani e musulmani ucraini. Prima di allora vivevamo separatamente. La maggior parte degli ucraini non era a conoscenza dei nostri musulmani: l’atteggiamento nei loro confronti era vigile, a volte ostile, e venivano considerati perlopiù come immigrati. Il Maidan e l’occupazione della Crimea hanno fatto scoprire all’Ucraina i tatari crimeani e i musulmani in generale, e così è avvenuta la rivelazione da tanto attesa. Le persone hanno visto che l’Ucraina è grande, diversa e che può essere anche così.
Mi pare che questo contratto sociale si sia formato da sé. Tutti coloro che sono per l’Ucraina sono i nostri, mentre quelli che sono contro l’Ucraina si manifestano, in realtà, contro la nostra idea nazionale, contro la nostra unità, la nostra cultura e contro la nostra entità statale. Ho individuato questo trend fin dall’inizio, quando i tatari crimeani sono apparsi al Maidan. Capii già allora che bisognava fare di tutto per tentare di accelerare questo processo, e levare la tensione reciproca e la mancata fiducia.
Come accelerarlo? Per primo, dobbiamo predicare il rispetto dell’indipendenza ucraina e dell’integrità territoriale, dobbiamo fare di tutto per mantenere buone relazioni, dobbiamo rispettare e studiare la lingua ucraina, rispettare e mantenere un atteggiamento buono verso la cultura ucraina. Predico sempre tra i musulmani: nessun ostilità verso le manifestazioni di altre culture. […]
Un nuovo contratto sociale […] sarà globale e durerà per secoli. In questo contratto sociale va menzionato che noi, musulmani, accettiamo tutte le culture, tutte le religioni esistenti, che le rispettiamo, manteniamo un atteggiamento tollerante nei loro confronti e chiediamo che ci trattino nello stesso modo.
In Crimea c’erano costantemente conflitti tra i tatari crimeani e la popolazione filorussa che si comportava in modo molto aggressivo nei loro confronti. Decidendo di andarsene in altre regioni dell’Ucraina, i musulmani crimeani lasciavano tutto portandosi dietro questa esperienza negativa. Di conseguenza, una volta arrivati a Lviv, cominciarono a pretendere che ci dovesse essere una moschea. La comunità di Lviv rimase sorpresa: perché un atteggiamento così aggressivo? Ci deve per forza essere una moschea per qualche migliaio di persone? Si può risolvere questo caso in modo più riguardoso?
Arrivai a incontrare i musulmani e i cristiani di Lviv a cui dissi: costruiamo un centro culturale islamico che non avrà una forma di una moschea, ma di un palazzo. Dentro questo palazzo ci riuniremo, pregheremo, terremo tutti i nostri riti necessari così come le nostre feste ma in modo di non creare le tensioni nella comunità attorno. La gente mi chiese: ma come, dobbiamo lottare per averlo. Gli rispondevo: non c’è bisogno di lottare qui, non siete circondati da nemici. Qui ci sono persone che vi amano davvero, vi rispettano e simpatizzano per voi. Dobbiamo, invece, mostrare a queste persone che siamo pronti a scendere a compromessi, al dialogo, far loro vedere che non inizieremo dei conflitti. A Lviv è presenta sia una sinagoga che una chiesa armena. Ci è voluto tempo prima che venissero costruite, le persone si devono abituare per avere un atteggiamento tranquillo verso una manifestazione di un’altra cultura.
[L’intervista sarà proseguita dalla seconda parte. Seguite i nostri aggiornamenti per scoprirla.]
Aggiornato il 28 maggio 2017: la seconda parte è accesibile su questo link.
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