Esattamente tre anni fa, il 18 marzo 2014, dalla sala di San Giorgio del Cremlino il presidente russo Vladimir Putin annunciava pomposamente l’”annessione” della Crimea alla Federazione Russa. Secondo le parole di Putin, quell’atto era volto a “difendere i diritti dei residenti della Crimea e di Sevastopoli” in modo da “prevenire il caos, le violenze e gli sconvolgimenti” che l’Ucraina stava subendo a causa degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. Nel suo discorso Putin rimarcava inoltre che i cittadini della Crimea sarebbero vissuti “in uno stato civile e democratico”, che avrebbe protetto “i diritti di tutti in linea con le leggi che regolano il diritto internazionale”.
A tre anni di distanza da quel discorso, non solo le parole di Putin si sono rivelate false e prive di fondamento. Ma alla luce dei fatti e della situazione che vivono oggi i cittadini della Crimea appaiono persino beffarde. I residenti della regione occupata vivono infatti continue violazioni dei fondamentali diritti umani e coloro che non si adeguano al nuovo corso sono soggetti a durissime punizioni.
Quali sono le violazioni registrate in Crimea?
Sono numerose le violazioni registrate dalle autorità ucraine e dalle NGO che si occupano di diritti umani. Tra le trasgressioni più comuni vi sono assalti alle redazioni dei media, omicidi, rapimenti, intimidazioni, ingiuste detenzioni, interrogatori illegali e arresti ingiustificati.
Ovviamente l’obiettivo principale delle politiche repressive è quello di impedire che ciò che realmente succede in Crimea venga riportato all’esterno. Pertanto i giornalisti accusati di essere pro Ucraina vengono censurati e inscritti arbitrariamente nella lista dei terroristi della Federazione Russa. Sono inoltre comuni le perquisizioni delle redazioni e i sequestri del materiale informatico considerato scomodo.
Le intimidazioni riguardano anche la vita religiosa. Nel settembre 2016 le autorità russe hanno bandito il Mejlis, l’istituzione esecutiva più importante dei Tatari di Crimea. Anche l’Eparchia della Chiesa Ortodossa di Crimea ha continuato a ricevere pressioni per supportare pubblicamente l’occupazione russa. E non è raro che perquisizioni e rastrellamenti vengano condotti anche in abitazioni private.
I risultati di queste politiche repressive sono allarmanti. Il Mejlis in esilio (la massima autorità civile dei tatari di Crimea) e il Crimean Tatar Resource Center riportano che oggi nella regione occupata vi siano 17 attivisti scomparsi, 12 casi di morti sospette e 39 prigionieri politici detenuti ingiustamente.
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Emblematici i casi di Valentyn Vyhivskyi, condannato a dieci anni per spionaggio; Oleg Sentsov, che sta scontando vent’anni per aver “costituito un’associazione terroristica”. O ancora Ruslan Zeitulayev, Rustem Vaitov e Nuri Primov condannati rispettivamente a sette, cinque e sei anni per proselitismo religioso. E infine Oleksandr Kostenko, condannato a quattro anni e due mesi e attualmente detenuto per “odio ideologico”.
Sempre il Crimean Tatar Resource Center, nel solo mese di gennaio del 2017, ha registrato quindici violazioni della libertà di movimento, venti infrazioni della libertà religiosa, sette inosservanze della libertà di associazione, venticinque inottemperanze dei diritti delle minoranze e oltre sessanta trasgressioni riguardanti l’assistenza legale. A ciò si aggiungono almeno una ventina di rifiuti di assistenza medica, nonché violazioni della proprietà privata e vari fermi di persone che cercavano di transitare il “confine” con l’Ucraina. Il Crimean Tatar Resource Center ha inoltre segnalato altri 112 interrogatori, 91 mandati di cattura e 107 carcerazioni frutto delle politiche repressive nelle ultime settimane. Questi numeri però sembrano destinati a crescere rapidamente.
La NGO Freedom House (FH) dichiara che la Crimea occupata, nella classifica che misura il rispetto dei diritti umani, ha raggiunto nel 2017 un punteggio di 9/100, risultando quindi come “territorio non libero”. Per fare un paragone, la Libia e l’Iraq con rispettivamente 13/100 e 27/100 sono considerati paesi più liberi e meno oppressivi della Crimea. Del resto, la stessa FH fa notare che in Crimea non “esiste nessuna forma di pluralismo politico o di opposizione” e “tutte le maggiori decisioni sono prese dai rappresentanti di Putin o dalle autorità locali, entrambi non eletti tramite libere elezioni”. Anche per questo oltre 20mila membri della comunità tatara hanno lasciato la Crimea.
In oltre tre anni di occupazione, le organizzazioni ucraine per i diritti umani hanno documentato 461 casi di violazione della libertà di informazione, 241 persone sono state private della libertà di parola e 20 pubblicazioni (giornali, periodici e quotidiani) soppresse. La definizione della Crimea come “ghetto dell’informazione” fornita da numerosi analisti è perciò quanto mai appropriata.
Contrariamente quindi a quanto sempre riportato dalla propaganda russa, le persone che risiedono nella Crimea occupata vivono costantemente una realtà fatta di diritti negati, privazioni e soprusi da parte delle autorità. L’occupazione quindi non rispecchia lontanamente il paradiso dei diritti prospettato da Putin nel suo discorso. E anzi, vivere in Crimea, a tre anni dall’inizio dell’occupazione, è più difficile che mai.
Foto: Reuters, Krym.Realii