Niente di personale. Cosa c’è in comune fra “Yandex” e i cantanti russi

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Nel ban ai siti Internet russi le persone comuni vedono la censura, dimenticando la perdita del business che vi è dietro.

L’UCMC pubblica una versione abbreviata dell’articolo  “Krym. Realii”

Il ban di “Yandex” e “VKontakte”, due popolari portali web russi, non è molto diverso, in termini economici, dal divieto agli artisti che sostengono l’aggressione russa in Crimea di esibirsi in Ucraina. Dal 2013, infatti, a tutti i cantanti russi che sostengono l’occupazione della penisola di Crimea è fatto divieto di esibirsi sul territorio Ucraino.

Prima dell’occupazione della Crimea, gli artisti russi di primo piano riuscivano a fare il tutto esaurito nelle quattro città ucraine con una popolazione superiore al milione di abitanti. A Kharkiv, Odesa, Kyiv e Dnipro gli artisti russi più famosi riuscivano infatti ad esibirsi almeno otto volte l’anno. Considerando che i migliori cantanti russi ad ogni concerto riuscivano a portarsi a casa 15 mila dollari, le perdite annuali dovute al divieto per gli artisti ammontano a 120 mila dollari. Che, se moltiplicate per i tre anni in cui il ban è rimasto in essere, abbiamo un mancato incasso totale di 360 mila dollari ad artista. E questo, solo per i cantanti e gruppi di punta.

Le sanzioni sono infatti uno strumento finanziario. Se una persona (fisica o giuridica) non rispetta le leggi ucraine, questa è destinata a non poter beneficiare del mercato ucraino. La capacità di questo mercato è grande abbastanza e le eventuali perdite finanziarie sono perciò tangibili. In questo senso, non v’è alcuna differenza tra un artista di successo e un sito grande di Internet.

Le reti sociali, gli antivirus e i motori di ricerca sono organizzazioni a scopo di lucro. Essi non svolgono beneficienza, ma operano nel campo del business in modo analogo a quello di una fabbrica o di una compagnia aerea. I social network russi quindi operano per ricevere un profitto, come qualsiasi altro player sul mercato. E il mercato ucraino, per tutte queste aziende e compagnie informatiche, è  prezioso sia per le sue dimensioni sia per in termini di investimento di capitale.

L’idea che il “divieto colpisca gli utenti” è simile alle lamentele sul divieto dei voli diretti dalla Russia (in atto sempre dal 2014). I voli verso la Russia sono diventati impossibili perché le compagnie aeree russe hanno violato lo spazio aereo ucraino, effettuando voli per l’aeroporto di Simferopoli in Crimea. I viaggiatori diretti dalla Russia sono diventati una vittima, ma non per colpa dei decreti o dei volontari ucraini. Il blocco di “VKontakte”, “Yandex” o Kaspersky Lab non è perciò solo un divieto d’accesso ai loro prodotti ma rappresenta la riduzione dei profitti potenziali di aziende russe.

Tuttavia, oggi si hanno molte opportunità per bypassare il blocco e la conferma di ciò viene proprio dalla vicina Russia . Ma le nuove sanzioni rendono il lavoro delle persone giuridiche impossibile sul territorio dell’Ucraina.
Alcuni sostengono che il divieto colpisca indirettamente anche la parte ucraina. Forse ciò corrisponde al vero. Infatti le compagnie aeree russe hanno disdetto la manutenzione degli aerei presso aeroporti ucraini. E i cantanti russi non hanno più prenotato le camere in alberghi ucraini e non hanno mangiato in ristoranti ucraini. Ma, a livello concettuale, non cambia nulla.
Perché qualsiasi difesa richiede una spesa. L’Esercito costa, così come le armi. E pensare che nelle guerre moderne le battaglie abbiano luogo solo sul campo è un errore.
In molti sostengono che le nuove sanzioni obbligheranno gli utenti ucraini modificare la propria vita e le proprie abitudini. Ma noi siamo molto contenti per questo. Infatti, ogni guerra deve venire vissuta fuori dalla propria zona di comfort.
E se l’unica cosa da sacrificare è la produzione digitale del paese aggressore (con i relativi guadagni), allora bisognerebbe accogliere il decreto di ban a braccia aperte. Del resto, non tutti posso ritenersi così fortunati da dover sacrificare solo l’accesso ad un social network. Basta chiedere, per esempio, il parere in questione agli immigrati e ai rifugiati interni.