L’Ucraina fu fra i soggetti centrali del pontificato di Papa Giovanni Paolo II – intervista a Andrzej Grajewski. Seconda parte

Cent’anni fa, il 18 maggio 1920, in una cittadina vicino a Cracovia in Polonia, nacque Karol Wojtyła, conosciuto in tutto il mondo come San Giovanni Paolo II. L’elezione di uno slavo a 264° Papa, che perlopiù proveniva dalla Polonia “socialista”, prevedibilmente allarmò il regime sovietico. Conosciuto come lottatore per i diritti umani, Wojtyła era convinto che “la Chiesa fosse l’ultimo bastione della libertà”. L’Ucraina era particolarmente importante per Giovanni Paolo II. Il regime sovietico vide nel Papa un pericolo, anche a causa delle sue posizioni a favore della chiesa clandestina dei greco-cattolici ucraini.    

In occasione del centenario dalla nascita di San Giovanni Paolo II, la Radio Ucraina ha intervistato lo storico e giornalista polacco Andrzej Grajewski, le cui ricerche si concentrano particolarmente sull’aspetto orientale del pontificato di Giovanni Paolo II. Grajewski svela anche gli aspetti meno conosciuti della vita e dell’attività del Papa, che spesso hanno al centro l’Ucraina. Riportiamo l’intervista in due parti, la prima parte è accessibile su questo link.

Signor Andrzej, so che Lei ha studiato gli archivi del KGB (agenzia di sicurezza sovietica – ndt.), legati al Papa Giovanni Paolo II. Cosa l’ha colpito di più?

Va notato che si tratta di una rete enorme, il che dimostra il totalitarismo assoluto, erano a conoscenza di tutto. Dopo l’attentato a Giovanni Paolo II, ci fu un telegramma inviato da Fedorchuk (il capo del KGB ucraino – ndt.) ad Andropov (il capo del KGB dell’URSS – ndt.). Fino al 1981 sapevano tutto e le informazioni che avevano venivano utilizzate concretamente. Tuttavia, a partire dei tempi di Gorbachev si nota che ancora erano a conoscenza di tutto ma ora le loro informazioni non si trasformavano più né in azioni concrete, né venivano applicate alla realtà politica.    

Sorprende il fatto che il sistema che controllava tutto e sapeva tutto, sparì senza spargimenti di sangue. I documenti dimostrano che il KGB possedeva informazioni dettagliate sulla Chiesa greco-cattolica in Ucraina, quindi riferendosi a questa come “chiesa clandestina”, si dovrebbe probabilmente mettere la frase fra virgolette. Furono informati su ogni cittadino – membro di ciascuna parrocchia greco-cattolica, su tutti i vescovi segreti e, se avessero voluto ripetere quello che fecero nel 1946, li avrebbero potuti arrestare tutti in un giorno e portare in Siberia.    

Per quanto riguarda l’attentato alla vita di Giovanni Paolo II del 13 maggio 1981, gli hanno sparato, ma il proiettile è passato a pochi millimetri dagli organi vitali. Ci sono molti documenti a conferma del fatto che dietro l’attentato ci furono i servizi segreti comunisti, giusto?

Ho preso parte alle indagini ufficiali svolte dall’Istituto per la memoria nazionale della Polonia. I risultati di quelle indagini furono riassunte in due libri pubblicati, uno dei quali – “Ağca non era solo” è stato tradotto in italiano. Dai materiali delle indagini italiane e dai documenti che abbiamo ricevuto dalla Bulgaria, abbiamo visto chiaramente che il coinvolgimento dei bulgari fu molto attivo – mantenevano il contatto con l’assalitore dal suo arrivo a Sofia fino alla partenza per l’Italia, poi furono svolte le preparazioni all’attentato a Giovanni Paolo II. I fatti trovano conferma anche in altri documenti che conosciamo.  

Dietro il crimine ci furono i servizi segreti bulgari?

Furono dei complici tecnici. Certo che la Bulgaria non fu completamente interessata all’eliminazione di Giovanni Paolo II. Devo anche dire, onestamente, che non si hanno tracce dei documenti che confermerebbero gli ordini diretti dal Cremlino ai bulgari ai fini dell’uccisione del Papa. Se tali documenti esistono, si trovano a Mosca e non li vedremo nel prossimo futuro.

Non le è stato dato l’accesso agli archivi a Mosca, vero? Ha presentato la domanda?

Non ho presentato la domanda, in quanto i miei amici mi hanno detto che anche i documenti che risalgono agli anni 1940 che prima erano liberamente consultabili, sono stati blindati. Mosca ha reso segreti 43 dei 200 volumi sulla tragedia di Katyn e ha chiuso le indagini del caso senza nemmeno avvertirci sui motivi della chiusura. Se i materiali pertinenti al crimine del 1940 sono chiusi, poco rimane da sperare su quelli riguardanti le circostanze del crimine del 1981.

Un’altra fonte interessante e assolutamente aperta è il diario di Leonid Brezhnev che rispecchia tutti i suoi incontri mentre era in carica come Segretario generale del Partito comunista dell’Unione Sovietica. Se letto alla luce dell’attentato a Giovanni Paolo II, si scoprono delle cose interessanti. Ho controllato cosa fece Leonid Brezhnev il 13 maggio 1981. Non fece niente. La mattina incontrò la delegazione del Mozambico, dei partigiani popolari, poi si chiuse nel suo ufficio e, secondo il diario, lavorò sui documenti. Se ne andò alle 17. Mi sono chiesto: quanti furono i giorni durante i quali Brezhnev si dedicava soltanto ai documenti senza ricevere nessuno, chiuso nel suo ufficio? Risulta che non vi fu un altro singolo giorno del genere.

Si potrebbe dedurre che il 13 maggio 1981 stesse aspettando nel suo ufficio delle informazioni molto importanti. Il suo primo incontro, svoltosi il giorno successivo, fu con Gromyko (il Ministro degli esteri – ndt.) e Andropov. Secondo il diario, i contatti più intensi, sia telefonici che personali, fra Brezhnev e Andropov ebbero luogo tra l’aprile e il maggio del 1981 – giusto nel periodo in cui si entrò nella fase dell’attuazione l’attentato terroristico contro Giovanni Paolo II. Certamente non è una prova diretta, ma possiamo chiederci se in quel periodo avesse luogo qualcosa che avrebbe richiesto una cooperazione così intensa, qualche crisi mondiale, ma non risulta niente. (…) Ricordiamo che in quel periodo Ağca (l’esecutore dell’attentato – ndt.) incontrò i mediatori fra i turchi e i bulgari a Zurigo, poi andò a Maiorca per riposare, le armi le nascose in Svizzera. Il 10 maggio atterrò a Milano, andò in macchina a Roma con tre co-organizzatori turchi del delitto.        

Vi racconto del telegramma che Fedorchuk inviò ad Andropov, che avevo menzionato prima. A Fedorchuk fu chiesto di fare un rapporto urgente sulla situazione in Ucraina, e lui come risposta mandò un telegramma cifrato urgente indirizzato ad Andropov. Inizia con la frase: “Non succede niente.” La situazione potrebbe sembrare strana: se niente succedeva in Ucraina, perché questa urgenza, perché la forma così importante? In realtà questo telegramma cifrato racconta come il pontificato di Giovanni Paolo II influiva sull’Ucraina. Si potrebbe anche supporre che dopo l’attentato non riuscito al Papa, presso il Cremlino scoppiasse il panico e Andropov fosse costretto a spiegare perché avessero perseguito la missione. Certo che le prove non ci sono, i documenti si potrebbero trovare a Mosca: personalmente, così mi spiego quel telegramma cifrato. Si potrebbe supporre che Andropov pretese il rapporto da Kyiv per spiegare a Brezhnev: guardi, se non avessimo fatto l’attentato, ci saremmo trovati in una situazione ancora peggiore.       

Foto: radiosvoboda.org / Reuters. Giovanni Paolo II arriva a Lviv, giugno 2001

Sono tutte mie supposizioni, i fatti li potremo sapere solo ricorrendo alla lettura dei materiali della cancelleria di Andropov, ma probabilmente non riuscirò a rimanere in vita tanto a lungo. Quel che è certo, è che il pontificato di Giovanni Paolo II come visto dal Cremlino, rappresentò la destabilizzazione più grande per due territori: la Lituania e l’Ucraina. La Lituania – attraverso la Chiesa cattolica romana e l’Ucraina – attraverso la Chiesa greco-cattolica. Quella chiave, dal punto di vista dell’Impero sovietico, fu l’Ucraina.

Un altro fatto sul contesto ucraino attorno a Giovanni Paolo II: suo padre prestò servizio militare presso il 12° reggimento di fanteria stazionato a Wadowice, in cui prestarono servizio anche alcuni soldati ucraini, veterani della guerra del 1920 dell’esercito di Petliura. Poi continuarono a partecipare alla Terza rivolta slesiana. Così, già dalla sua nascita Karol Wojtyła, venne subito a contatto con un cerchio di conoscenze ucraine. Si può dire che quella fratellanza d’armi del 1920 lasciò un segno.    

Nel pontificato di Giovanni Paolo II, l’Ucraina ebbe sempre un ruolo chiave – dovuto alla sua idea di unificazione di tutta l’Europa. Nello sviluppo spirituale parlò sempre di due polmoni – quello occidentale e quello orientale. Veniva spesso interpretato come un riferimento alla Chiesa ortodossa di Mosca, ma in realtà non lo era. I documenti rivelano che la Russia era presente in questo concetto, sempre però nel contesto dell’Ucraina e della Belarus. Inoltre, nella sua prassi spirituale Giovanni Paolo II non si rivolse mai all’URSS, l’URSS non esistette nel suo pensiero, si rivolse piuttosto sempre ai popoli: russi, ucraini, bielorussi. Percepì l’Ucraina come un ponte fra l’oriente e l’occidente. La Chiesa greco-cattolica fu un esempio di quella sintesi. 

Nel giugno 2001 Giovanni Paolo II si recò in visita ufficiale in Ucraina. Celebrò due messe – a Kyiv e Lviv. Durante il suo pellegrinaggio a Lviv, pronunciò parole molto belle sulla riconciliazione fra i due popoli – polacchi e ucraini, appellando affinché ci scusassimo gli uni con gli altri e diventassimo fratelli. Quella visita storica in Ucraina di Giovanni Paolo II aveva molta importanza, particolarmente per il restauro della struttura della Chiesa cattolica romana in Ucraina. La sua visita sottolineò anche l’indipendenza e la sovranità dell’Ucraina, è stato un gesto grande e buono. Cosa ci può raccontare? 

Le parole pronunciate da Giovanni Paolo II durante il suo pellegrinaggio, allo stadio di Lviv, sono molto importanti: “Bisogna ricordare delle pagine difficili del passato, ma bisogna anche guardare e andare verso il futuro.” La lezione che ci ha insegnato la storia è semplice: quando i polacchi e gli ucraini stavano insieme, vincevano sempre, quando si separavano, vinceva la terza parte.

La foto principale: CNS/Chris Niedenthal. Papa Giovanni Paolo II a Jasna Góra durante la visita in Polonia nel 1979.